
Che strano Giro: partito come mezza estate – come canta Cesare Cremonini – è poi diventato mezzo autunno. Si finisce sempre a disquisire di tempo e meteo quando non si sa di che cosa parlare con qualcuno. È l’argomento principe del “più e del meno”, per una conversazione di cortesia oppure per attaccare bottone in modo poco originale. Di certo, al Giro, parlare del tempo non solo non è così futile, ma è al contrario necessario. Anche perché la dimensione entro la quale si ragiona non è limitata a una città o al massimo a una provincia, quanto di un’area tanto grande quanto può essere quella toccata da un percorso anche di 250 km. Il Giro stesso dipende dal tempo, o meglio dire dai tempi.
Ci sono infatti i secondi e minuti che compongono il tempo nelle classifiche e poi il nostro caro e vecchio amico tempo meteorologico. Tutto è un’incognita in questo momento: si dovrebbe andare sullo Jafferau sopra Bardonecchia, si dovrebbe sconfinare per salire sul Galibier (storica montagna del Tour, “violata” dalla corsa rosa) senza dimenticare Gavia e Stelvio. Eppure, con il rischio neve, si rischia di veder saltare tutto. A oggi la situazione è sotto controllo, ma nei prossimi giorni?
Se si tagliassero le montagne storiche sarebbe un peccato, ma d’altra parte non si possono foderare i copertoncini con i pellicciotti e catene. Loro, i corridori, sono per il resto pronti a tutto e in questo Giro lo hanno già dimostrato. Hanno pedalato sotto il diluvio con gli occhi stretti stretti per vederci qualcosa e sono caduti in discese saponetta scivolando sulle strisce viscide e grattugiandosi le ginocchia. Sono sfrecciati per le vie del sud con l’asfalto già prossimo a sciogliersi, che tentava di abbracciare le gomme.
Dalla partenza qualcuno si è ritirato, abbiamo perso pezzi da novanta come il vincitore uscente e come la maglia gialla del 2012, ma tutto pronto per l’ultima settimana.
Al Giro si ritorna ai bisogno e alle necessità primordiali e riemergono gli istinti: pioggia, neve, maltempo beffardo possono far saltare piani pronti da mesi e – a cascata – modificano la quotidianità. Ogni mattina, il primo pensiero sarà sempre quello del percorso da compiere e dei trasferimenti, che si sia corridori, stampa, fotografi, organizzazione o allestimento. Ma il naso, poi, punterà sempre involontariamente verso l’alto a controllare le nuvole. E non importa se il cielo che si sta osservando in un determinato momento sarà distantissimo da quello che si incontrerà dopo poche ore.
432