
Cadel Evans è un uomo solo e suo malgrado non è nemmeno al comando. Il campione del mondo è forse l’atleta più forte a questo Giro d’Italia ma probabilmente non lo vincerà: la sua squadra è inconsistente così come la sua tenuta mentale. Oggi più che un ciclista si è esibito come pugile.
In modo politicamente scorretto lo capisco e forse avrei reagito nello stesso modo perché quel pugno a Righi è come una resa: dopo la giornata tremenda de L’Aquila il campione del mondo ha visto tutti i migliori provare una fuga impossibile in una tappa per velocisti. Alla fine hanno guadagnato solo 10 secondi – poca roba – ma anche questa volta lui è rimasto indietro.
L’organismo umano Cadel Evans è perfetto per le corse: è dotato di una notevole abilità nella guida, è il più forte in salita, si difende più che bene a cronometro e può anche sprintare nel caso di volate ristrette. Ma come tutti i cavalli di razza è estremamente fragile, con un punto debole evidente. Nel suo caso non è un limite fisico quanto mentale: sotto pressione può cedere, com’è accaduto oggi.
Come diceva Fox Mulder “Il mio numero è uno, il più solo di tutti i numeri“. Cadel ha indossato la maglia rosa per un solo giorno poi l’ha ceduta, lui che è sempre sorridente e discreto oggi ha fatto a botte e si è chiuso in silenzio stampa dentro il pulmann della squadra. Ha sbarellato, non ha retto alla pressione, ha ammesso l’errore peggiorando la situazione, si è comportato come mai un campione del mondo dovrebbe fare, ha perso il confronto con i rivali, tutti. Ed è per questa sua umanità e incompletezza che non può che essere lui il vincitore di questo pazzo Giro.
Tifo per lui.
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