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Il furgoncino con la scritta “Fine corsa ciclistica”, quello che chiude ufficialmente il passaggio del Giro d’Italia insomma, è un elemento mitologico guidato da un personaggio altrettanto mitologico. Sembra un mostro con quel suo colore cangiante tra il nero e l’amaranto, i vetri leggermente fumè che non vedi dentro e quelle due orrende bandiere arancioni piazzate ai lati della scritta emblematica – Fine corsa ciclistica, appunto – tutte strappate come le vele dei velieri pirata fantasma, accompagnate da due sirene della stessa sfumatura. Strombazzante e ruggente, segna la linea di confine tra il paese itinerante del Giro e la quotidianità. Nelle tappe di pianura se ne corre placido e liscio senza troppi intoppi, in quelle di montagna lotta contro la fusione della frizione con un solo nemico davanti a sé: Andrea Guardini.
Chi è Andrea Guardini? E’ il velocista che ha vinto l’ultima frazione allo sprint, quella di Vedelago, battendo nientemeno che il campione del mondo Mark Cavendish. E’ un corridore che puoi riconoscere facilmente in mezzo al gruppo per via della maglia gialla fosforescente marchiata Farnese Vini e delle gambe extralarge, due tronchi abnormi e sproporzionati che non saranno il massimo dell’estetica, ma che gli garantiscono altissime velocità di punta. E’ un bravo ragazzo, con un viso pulito. Ma ha un problema: le salite. E’ la sua struttura fisica che lo costringe a una lotta all’ultimo grammo di energia sulle pendenze.
E così è sempre l’ultimo corridore, quello che pedala davanti al furgone di Fine corsa Cicistica, appunto. Ogni tappa ha un suo tempo massimo: se arrivi dopo sei squalificato. Così, Andrea calcola con grande perizia quanto può perdere in salita senza ammazzarsi e sale a una velocità sicuramente inferiore a quella di molti buoni cicloamatori. Va a zigzag, il contachilometri segna poche volte i 10km/h. Una strategia legittima e intelligente per uno che non ha interesse alcuno nella classifica e che risparmia energia per le volate.
Il fatto è che questo suo comportamento manda letteralmente ai pazzi il pilota del furgone del Fine Corsa.
Deve infatti stargli dietro, scortarlo, anche a costo di metterci 20 minuti a fare 3 chilometri. Percorrere le salite a bordo di questo furgone è un’esperienza mistica: la gente – il 60%, almeno, completamente brilla – si apre e si chiude intorno come un banco di pesci intorno a un predatore, vedi diavoli, uomini ragno, gente con pannoloni giganti e bicchieri di birra, alpini dalle guance fucsia, cicloamatori con pance-angurie pronte a esplodere e altri grissini pronti a spezzarsi, bambini annoiati e altri dagli occhi che brillano, uomini quasi completamente nudi e altri più eleganti oltre che costantemente Andrea Guardini che zigzaga ai 6-7 km/h davanti. Inutile riportare gli improperi del pilota e la puzza della frizione.
Ieri, a un certo punto, l’auto della Euskaltel Euskadi è andata KO fumando e fermandosi a pochi chilometri dalla vetta. Andrea Guardini, invece, ha proseguito con la stessa irritante e sagace tattica finché è arrivato. Ai -2km un cicloamatore ignaro è persino transitato davanti, superando il corridore per poi accorgersi di essere entrato ufficialmente in corsa come girino improvvisato, pedalando più veloce di un professionista. Stupito (e insultato) si è poi fatto felicemente risuperare dal furgone mitologico e dalle sue bandiere arancioni pirata.
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