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Al Giro d’Italia convivono più fusi orari e le lancette non girano sempre uguali. C’è chi vive di notte, come i ragazzi che montano e smontano il villaggio partenza e che dormono come bambini quando il sole se ne sta alto e picchia duro. C’è l’ora sempre più veloce degli autisti-venditori alla guida dei maledetti furgoncini dei gadget, il cui nastro registrato ripete ossessivamente le medesime frasi, fino allo sfinimento, fino a che ti viene voglia di farli saltare per aria con un bazooka. Oppure di comprare tutto. E c’è l’ora fiacca e serena della truppa dei pensionati volontari sparsi tra partenza, arrivo e percorso.
L’ora (e quindi il tempo) dei corridori è variabile: tictacca con ansia durante le cronometro in pianura, di squadra o in salita; se ne cammina morbida e piaciona nei trasferimenti pianeggianti oppure accelera tabureggiante durante le discese. E’ adrenalinica nelle volate e respingente con le salite.
C’è il tempo placido del giornalista del mensile, che segue il Giro d’Italia al rallentatore e ci sono i secondi da risparmiare per le agenzie stampa e i siti. C’è il tempo da assaporare come un buon digestivo per i giornalisti blasonati, che saggiano ogni parola a piccoli sorsi. E nel caso la scartano.
Il tempo delle miss è ritmico, estetico e dinamico, quello dei ragazzi della carovana è un intervallo tra un lancio di gadget e l’altro, una parabola ardita e opposta con al centro zone di calma piatta. E poi c’è il tempo delle tre settimane di gara e di viaggio che parte in slow motion, accelera improvviso e stordente e non frena fino alla fine del countdown.
Poi si cristallizza in attesa della nuova edizione.
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