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Questa sera di mezzo Giro d’Italia ci ha accolto finalmente con la speranza di qualche stella timidamente sbucata dai nuvoloni. La Luna è quasi piena, l’aria entra tra le coste e dovrebbe affievolirsi man mano che saliremo verso Nord. Questo Giro scende e risale lungo lo stivale a grandissima velocità, domani sarà una delle poche occasioni in cui la sede d’arrivo e di seguente partenza non cambierà. E si promette spettacolo visto il grande numero di saliscendi e un arrivo ostico, con una pendenza arcigna. Siamo arrivati silenziosamente a metà del viaggio e sembra di non aver ancora iniziato.
Ogni tanto si vive la strana sensazione di non sapere dove ci si trova, in che regione e provincia intendo e il continuo cambio di accenti e di specialità culinarie non aiuta certo a far chiarezza. Ma è una confusione piacevole, come quella del gruppone che sfila alla massima velocità nei paesi addobbati.
Capita spesso di cadere in deja-vu che probabilmente non sono cortocircuiti della memoria, ma semplici ricordi addormentati, che riaffiorano e si miscelano con il presente. Migliaia di persone i cui linamenti collimano o addirittura si fondono, svincoli e incroci identici al millimetro e stanze d’hotel dove sai già dove cercare il pulsante per accendere la luce in bagno.
Ma poi arriva l’inopinato con quella scogliera che ti lascia un po’ così, quella montagna che sbuca dalle nuvole basse e quella scritta sull’asfalto che ti strappa un sorriso. C’è una certa disciplina nelle cose del Giro, che però ti spiazza ogni volta che pensi di averla compresa: è la cotta che attende il coraggioso che non si nutre nella discesa dopo la fuga, c’è troppo da assaporare, è comprendendo questo limite che non ci si distae più. Ma non è facile.
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