

Si possono trovare decine di aggettivi per la tappa del Giro d’Italia 2013 di oggi: epica, leggendaria, struggente, ma forse basterebbe dire che è stata semplicemente “troppa“. Troppo intensa, troppo emozionante, troppo fredda, troppa neve, troppo Nibali, troppi colombiani, troppi tornanti e curve. È stata una frazione che ha esondato, è fuoriuscita dal proprio letto per andare a inondare tutti i campi coltivati, tutte le strade, i paesi e le città. E in una tappa così non poteva che vincere la maglia rosa, non poteva che scattare nel punto più duro, non poteva che giungere agli ultimi 100 metri completamente avvolto da una nevicata invernale. Se fosse stata una sceneggiatura di un film sarebbe stato addirittura troppo banale e “americano”.
Già perché, a posteriori, si potrebbe affermare che non poteva che finire così. Ma non era così scontato: si puntava forte su Betancur, il colombiano ha però dovuto subire una foratura e un cambio di bicicletta e così ha dovuto per due volte recuperare, andando in debito di forze proprio sul finale e terminando solo quarto. Ma difficilmente avrebbe potuto competere con un Nibali così strabordante e straripante.
In sette Giri a cui ho partecipato non ho mai vissuto una giornata come questa, con nevicata fitta fitta che nemmeno in Inverno, con fiocchi che diventavano più fini man mano che si saliva (ai 1500 metri erano grandi come calabroni, poi diventavano moscerini). Le montagne sembravano pandori spolverati di zucchero a valle, poi una volta in cima, a 2304 metri sul livello del mare, le rocce diventavano tiramisù ricoperti da uno spesso strato di mascarpone.
Le Tre Cime, loro, se ne sono state tutto il giorno ben nascoste da un velo di nuvole bianche e impenetrabili: giusto per qualche secondo prima di lasciare la sala stampa si sono rivelate alzando leggermente il vestito per farci sbirciare sotto. Effettivamente erano lì, a poche centinaia di metri in linea d’aria, ma oggi se ne sono state in disparte visto che lo spettacolo era da incentrare altrove, doveva concentrarsi su quella maglia rosa furiosa che voleva vincere non solo su calcio piazzato, ma anche su azione. E che azione: immagini che diventeranno immortali quelle dello Squalo dello Stretto che sguazza nella neve, che buca il bianco monotono e esulta con forza e determinazione, baciando l’anello della propria sposa.
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